Cosa dicono le leggi sulla cannabis light
Nel nostro Paese, la vendita di cannabis light non rappresenta un illecito; inoltre, è legittimo l’impiego di prodotti che vengono realizzati con questa sostanza e in seguito proposti sul mercato. Proprio per questo motivo essi non possono diventare oggetto di sequestri preventivi. A stabilirlo è stata la sesta sezione penale della Cassazione, anche se va detto che nella giurisprudenza la questione non è delle più chiare, ed è spesso fonte di controversie.
Secondo la legge italiana, la coltivazione delle varietà di canapa che rientrano nella categoria di cannabis light non può essere ritenuta un reato, e può essere messa in pratica senza che vi sia bisogno di una specifica autorizzazione. L’unico obbligo che spetta al coltivatore è quello di conservare le fatture di acquisto e i cartellini della semente. Nel caso in cui vengano effettuati dei controlli che dimostrino che nella coltivazione di contenuto totale di Thc è più elevato dello 0.2% ma comunque entro lo 0.6%, per l’agricoltore non è prevista alcuna responsabilità. Di conseguenza, non possono essere disposti né il sequestro delle coltivazioni né la loro distruzione, dal momento che essi sono previsti unicamente in presenza di un contenuto nella coltivazione di Thc oltre la soglia dei 6 decimi di punto percentuale.
Nella normativa nazionale non si fa riferimento alla messa in vendita del prodotto. Tuttavia per la Cassazione è scontato che la commercializzazione sia permessa per i prodotti a base di canapa light che vengono sostenuti e promossi. Il dubbio su cui si interroga la giurisprudenza riguarda l’estensione della commercializzazione: essa può coinvolgere anche la vendita al dettaglio delle infiorescenze che contengono il Cbd e il Thc, sempre che vengano rispettati i limiti previsti? Vale la pena di mettere in evidenza che il Cbd non prevede effetti stupefacenti, e inoltre ha la capacità di mitigare gli effetti del Thc.
Gli acquirenti italiani, dunque, sono liberi di usare la cannabis light per la realizzazione di prodotti cosmetici o a fini alimentari, per esempio per la preparazione di birre, di the o di infusi. A proposito di questo punto, la Cassazione ha specificato che la legge del 2016 comporta la liceità dei prodotti della cannabis che comprendono meno dello 0.6% di Thc, dal momento che essi non sono considerati sostanze stupefacenti, almeno dal punto di vista giuridico, e in quanto tali non rientrano più nella competenza della disciplina penale a cui fa riferimento il Testo unico sulla droga.
Quel che è certo è che per il momento la cannabis light riceve dai mass media poca pubblicità; il rischio, tuttavia, è che si passi dal disinteresse alla disinformazione, a tutto svantaggio dei consumatori. In realtà questo prodotto sta contribuendo a cambiare in modo significativo la concezione della canapa, che sempre più di frequente viene considerata come un rimedio naturale utile per alleviare molteplici disturbi e non più come droga leggera. Non si deve commettere, inoltre, lo sbaglio di pensare che la cannabis light venga ricercata unicamente dai giovani, dal momento che la richiesta proviene da una fascia di popolazione molto più ampia, fino ai 60 anni di età.